sabato 6 dicembre 2014

Le parole di una figlia...




Quando scopriamo che certe cose le facciamo per noi e non per l’altro allora l’accettazione è possibile, ce lo insegna questa figlia…




Mamma, insieme facciamo un dolce, tu che sei brava mi devi insegnare bene. Mi complimento per come sei vestita oggi, stai proprio bene! Ti chiamo più volte al giorno perché ho bisogno di sentire la tua voce, mi piace andare per negozi con te, mi piace fare la caccia al tesoro per ritrovare ridendo le cose che hai nascosto.  Non ti arrabbiare, io sono brava a ritrovarle e se non sarà oggi certamente sarà domani. 
Ti voglio bene

mercoledì 15 ottobre 2014

Una nuova esistenza


“Quando chiudo gli occhi vedo una lava incandescente che cresce dentro di me. Questa lava cresce, cresce sempre di più, come una pasta che lievita, ed è sempre in movimento. Scorre e porta via con sé tutto quanto”.

Quando pensiamo al demente pensiamo ad una persona che perde la memoria, la capacità di ricordare e di fare cose che una volta faceva con disinvoltura. Quando pensiamo al demente pensiamo ad una persona che non riesce più ad esprimersi come una volta, che via via perde la capacità di “dire le parole”.
Io credo che ogni persona porti con sé una capacità che neanche la demenza possa cancellare, che è quella di trovare dentro di sé delle immagini per rappresentare ciò che prova, quellestesse immagini che le parole non riescono a raccontare.
Chi ha la demenza ha alcune immagini impresse nella memoria che per gli altri non hanno significato o sono difficili da comprendere, ma che per chi le vede sono fonte di vita. Perché il demente vive anche nelle immagini create dalla sua mente. E riesce a spiegare il proprio esistere attraverso quelle. Noi che quotidianamente stiamo vicino a loro cerchiamo di comprendere queste immagini, cerchiamo di capire quale stato d’animo nascondono, quali emozioni le stanno caratterizzando. Non rifiutiamoci di comprendere il messaggio che il nostro caro vuole darci. Per noi è un’immagine, per loro è un messaggio di vita. Perché i nostri cari continuano ad esistere, anche se non sono perfetti come lo erano una volta, anche se per noi non servono più a niente, anche se combinano qualche guaio. La loro esistenza è una nuova esistenza, diversa da quella precedente alla malattia, e le loro immagini ricche di significato devono farcelo capire.

Dott.ssa Chiara Cosmo


lunedì 30 giugno 2014

Prometto di esserti fedele sempre nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia” malattia. Sì, perché scoprire che il proprio marito o la propria moglie a poco più (o poco meno…) di 60 anni è affetto da una demenza significa scoprire che il rapporto con lui/lei sta cambiando e che non avrà più le caratteristiche che aveva prima. Ci sarà un momento in cui bisognerà fare i conti con un compagno o compagna di vita che avrà bisogno di noi come non mai. Bisognerà fare i conti con la paura di non farcela a sostenere chi magari fino a quel momento ha sostenuto noi.  Bisognerà provare a ricostruire la nostra identità in funzione del nostro caro. Costerà fatica e porterà a momenti di sconforto. Ma c’è a monte una promessa fatta davanti a molte persone e, per chi è religioso, a Dio. La promessa di continuare ad amare il nostro caro nonostante il dolore, la fatica e la malattia. E posso dire di avere la fortuna di vedere questa manifestazione di vero amore quasi quotidianamente nella mia esperienza nei Centri Sollievo. Mi capita di parlare con mogli che si rimboccano le maniche e cominciano ad imparare a fare quei lavori in casa che mai hanno fatto perché da sempre se ne occupava il marito, o quando un marito dopo 30 o 40 anni di matrimonio impara a stirare, a sistemare il bucato facendo credere alla moglie che è lei ad averlo fatto per non turbarla. Mi confronto con donne che non vogliono concedersi una passeggiata da sole lasciando il proprio marito con un’altra persona perché hanno sempre fatto tutto con lui e anche una semplice passeggiata “non è la stessa cosa se lui non c’è”.

Un marito viene a prendere la propria moglie al termine delle attività, la abbraccia, le da un bacio e le dice “ Vieni sposa andiamo a casa.” E poi si rivolge a me dicendo “Guarda quanto è bella mia moglie!”  Ecco cos’è il vero amore.

 Dott.ssa Chiara Cosmo

lunedì 9 giugno 2014

La voce di chi si prende cura…

Oggi voglio dare voce ai pensieri più segreti, ai sentimenti più intimi di chi si prende cura di una persona affetta da demenza. Parole che loro stessi non riescono a pronunciare nemmeno davanti ad un professionista perché ritenuti amorali, segno di egoismo o semplicemente indicibili perché non potranno MAI essere condivisi dagli altri.
E non pensate  a parole come “lo odio”, “se potessi scapperei”, “ma guarda se doveva farmi anche questa”… queste sono parole che una moglie, un marito, un figlio riescono a dire senza grossi problemi perché suscitano negli altri compassione e sono quindi accettate. Chi di noi biasima una persona che dice di non farcela più? Anzi siamo subito pronti a darle una mano, a chiederle se ha bisogno di qualcosa, addirittura a consolarla!
Le parole indicibili sono
“non sono all’altezza della situazione”,
“ho paura di essere giudicato”,
“mi vergogno di lui/lei”,
“non so di cosa ha bisogno”,
“non so cosa fare”.
Chi si prende cura di una persona con demenza è una persona allo sbando: saltano tutte le certezze costruite in 30-50 anni di vita insieme,  salta la conoscenza della persona, saltano le modalità con cui eravamo abituati ad affrontare le difficoltà, salta la modalità relazionale attraverso cui interagivamo con il nostro caro e salta il modo in cui lui/lei ci trattava… non si tratta quindi di sapere CHE COSA FARE (e giù tutti a dare consigli e perle di saggezza!) si tratta di ridefinire una relazione che dura da una vita e l’intera responsabilità di tale ridefinizione è sulle spalle di chi si prende cura!
Per cui se incontrate qualcuno che assiste un familiare affetto da demenza…
… non dategli consigli su come gestire la malattia del suo caro, probabilmente si è già documentata, ha seguito corsi e ha ascoltato mille storie che iniziano con “anche a me è successo…”
…non ditegli che deve prendersi i suoi spazi, pensate davvero che non lo sappia o che non lo voglia?
…non chiedetegli se ha bisogno di qualcosa, non lo sa!
Offritegli un caffè e chiedetegli come stanno i suoi nipoti, come va il lavoro o il corso di pittura a cui ha partecipato, se ha più comprato la macchina nuova o cosa ne pensa del caldo torrido arrivato all’improvviso… su questi argomenti ha ancora delle certezze e sa perfettamente come rispondervi, se poi è lui stesso ad aprire sull’argomento “gestione del malato” non abbiate paura a dire “non so proprio cosa dirti” …sarete sulla loro stessa linea d’onda!
Dott.ssa Federica Cozzi



giovedì 29 maggio 2014

L'anima vola....

L’anima vola…
Rientro da una giornata di lavoro, di corsa, come sempre, salgo in macchina…i pensieri si accavallano cose fatte, cose da fare, cose tralasciate, cose posticipate,…poi una canzone mi riporta al SIGNIFICATO del mio agire lavorativo…
L’anima vola
le basta solo un po’ d’aria nuova…
Ho appena lasciato un gruppetto di anziani con decadimento cognitivo con cui ho iniziato da poco un percorso nuovo per loro e, come sempre, anche per me! Un po’ d’aria nuova e l’anima ricomincia a volare… “dottoressa, Questa (il gruppo) è la mia oasi”
Non mi portare niente
mi basta fermare insieme a te un istante
e se mi riesce
poi ti saprò riconoscere
anche tra mille tempeste
La persona con demenza non ricorda il tuo nome, né da dove vieni, né quando dovreste incontrarvi; la persona con demenza non ti chiede come stai, non si preoccupa per te, non chiede di te se ti assenti… ma ti riconosce se riesci a fermare insieme a lei quell’ istante che dà senso alla sua giornata, in cui viene riconosciuta come persona di valore, veramente e sinceramente importante per te. Passo accanto ad E. la guardo negli occhi, le sorrido. “Signorina, io dovrei conoscerla, ma…” mi prende la mano. “sì E. sono qui per lei”, i suoi occhi diventano lucidi e sorridono.
L’anima vola
E' lei che si perde
Poi si ritrova
La persona con demenza si perde nei luoghi della memoria, ieri è oggi, oggi è un futuro che non conosce, che la spaventa…tu gli sei accanto non per riorientarlo nel tempo, perché sappia che oggi è il 28 maggio 2014 (o non solo!) come ti dicono i manuali di riabilitazione neuropsicologica, gli sei accanto perché la sua anima si ritrovi in un luogo sicuro, dove i suoi sentimenti sono rispettati, ascoltati, compresi ed accettati, perché quelli non sono temporalmente e spazialmente collocati, quelli sono vissuti e basta. S.ricorda e piange e il pianto mangia le parole…nessuno le chiede cosa sta dicendo, il gruppo lascia spazio e tempo. Poi E. interviene “che bello avere ancora emozioni e commuoversi ricordando”

E come balla
Quando si accorge che sei lì a guardarla
Le anime dei miei pazienti ballano! Questa è l’immagine più vera e realistica di ciò che accade nel gruppo…e sapete come faccio? Li guardo con reale interesse, cercando di sintonizzarmi sui loro passi di danza: all’inizio seguivo E. nel suo valzer lento, R. nel suo tango, R. nel suo cia cia cia, S. nella sua mazurca, M. nel suo mambo, M. nel suo stare seduta in attesa dell’invito…ora tutte le anime ballano insieme, a turno si segue il ritmo dell’uno o dell’altro, e tutti abbiamo imparato a volare! Perché l’anima vola mica si spegne, neanche a 90 anni, neanche con la demenza…

Buon ballo e buon volo, anime!

Dott.ssa Federica Cozzi

mercoledì 21 maggio 2014

A volte capita che le storie si intrecciano incontrandosi in luoghi inusuali senza nemmeno che le persone si conoscano… uno di questi posti è sicuramente lo studio di uno psicoterapeuta. Succede così che al termine della giornata riesci quasi a darci titolo al film che hai girato assieme ai tuoi clienti. Oggi è stata la giornata del “non ho posto”: non ho posto nel mio cuore, non ho posto nella mia mente, non ho posto tra le mie amicizie, non ho posto nel mio armadio! Se nel caso di un armadio è necessario eliminare qualche vecchio vestito (e assieme a lui una parte di chi siamo stati!) negli altri casi non dobbiamo buttare via niente o nessuno, nemmeno stringere lo spazio degli altri inquilini o collocarli sopra-sotto secondo una gerarchia. Chiedetelo ad un genitore che ha deciso di avere il secondo figlio…teme di togliere amore al primogenito o ancora, chiedetelo ad un’amica che teme di perdere l’amore della compagna di una vita perché questa si sposa.
Quanto amore abbiamo a disposizione? Quale successione di nucleotidi determina la capienza del nostro “cuore”? dove troviamo la spia di “esaurimento risorse affettive”?
Perché non sappiamo rispondere a queste domande?…eppure l’idea di poter perdere l’amore di una persona o riversare meno amore in una relazione ci fa paura, ci fa soffrire, ci impedisce di cambiare, di uscire da una situazione anche se divenuta insostenibile.
L’amore di cui siamo capaci non aumenta e non diminuisce, non si congela e non evapora, l’amore siamo noi: ciò che diamo agli altri, non il tempo che gli dedichiamo; ciò che proviamo quando guardiamo negli occhi il nostro amico e sentiamo che ci ha già capito, non il regalo che ci ha comprato; la risata per una cosa sciocca, non la spettacolarizzazzione sui social network …
ora rispondete a questa domanda: quanto tempo ed energie servono per queste cose?
Al prossimo film…

Dott.ssa Federica Cozzi 

martedì 20 maggio 2014

Che cos'è la VALUTAZIONE NEUROPSICOLOGICA? Facciamo un po' di chiarezza...

Dalla nostra pluriennale esperienza (il Centro Rindola a settembre festeggia il suo ottavo anno di attività!) abbiamo evidenziato che quando si parla di neuropsicologia o di riabilitazione cognitiva, non tutti sanno di cosa si sta parlando; o meglio, che per i familiari dei nostri pazienti e il paziente stesso, almeno all'inizio, le parole neuropsicologo, valutazione e riabilitazione sono poco conosciute. 
C'è bisogno di chiarezza e soprattutto di conoscenza. Il nostro Blog, nasce proprio per questo scopo. 
Innanzitutto, nel caso di patologie di tipo degenerativo o di esiti di ictus o traumi cranici, bisogna sempre tener conto che, in un individuo con un normale sviluppo delle funzioni cognitive, un danno cerebrale (detto "acquisito" in quanto prima dell'evento traumatico non c'era) provoca disturbi specifici in una o piu’ aree del nostro cervello. La valutazione cognitiva permette di evidenziare quali siano i processi danneggiati e quali siano rimasti integri, cioè permette di inquadrare in modo specifico la natura del disturbo e le possibilità di compensazione e di intervento.
Accanto alla valutazione quantitativa del danno vi è una particolare attenzione alla dimensione psicologica della persona, alla sua modalità reattiva all’evento traumatico, alle sue aspettative e alla sua progettualità di vita.

La valutazione neuropsicologica e’ una procedura indispensabile nelle patologie di tipo neurologico  in quanto permette:
  • di contribuire alla diagnosi di patologie neurologiche;
  • di ottenere un quadro completo dello stato di salute del paziente, considerandone l’efficienza cognitiva;
  • di predisporre un trattamento di riabilitazione cognitiva specifico e di verificarne l’efficacia;
  • monitorare, attraverso controlli ripetuti nel tempo, il decorso di alcune patologie (come spesso accade per le forme di decadimento cognitivo nelle demenze);

Cosa avviene durante la valutazione neuropsicologica?
Al paziente viene somministrato del materiale di tipo testistico, cioè delle prove standardizzate le quali prevedono che gli stimoli e le procedure di somministrazione siano definiti rigorosamente e la prestazione del paziente sia comparata con quella di un campione di controllo uguale per età e scolarità. 
Il materiale testistico, in associazione ad altri strumenti psico-diagnostici, consente di fornire  al paziente e ai suoi cari un profilo completo sia dal punto di vista cognitivo che dal punto di vista della personalità e dell’impatto della malattia sulla qualità di vita del paziente.
Proprio quest'ultimo aspetto è di fondamentale importanza in previsione di una presa in carico del paziente. 
Il Metodo Rindola© infatti, prevede un coinvolgimento e una stretta collaborazione con il familiare/caregiver in quanto la sintomatologia di tipo neurologico implica un  cambiamento della persona nella sua totalità e in tutti i suoi ambiti di vita. 

                                                                                                     Dott.ssa Elena Cazzari